giovedì 20 gennaio 2011

L’amico intravisto


(Una versione di questo racconto è già stata pubblicata su Il mondo del Golf. Il racconto fa parte della raccolta "L'erba verde sul green")

Mauro si stava vestendo.  La luce invadeva lo spogliatoio irrompendo dalla grande finestra alla sua sinistra.  Si era tolto la cravatta, poi la giacca e la camicia a fitte strisce verticali, bianche e di un tenue azzurro. Era quasi inciampato nel togliersi i calzoni del completo blu scuro, e aveva già in mano un paio di lunghi calzoni così leggeri che, quando si indossavano, si poteva sentire traspirare l’aria. Dopo essersi alzato, mentre si infilava nei pantaloni la maglia di cotone bianca con le maniche corte e il colletto floscio, variamente decorata dal nome di diversi sponsor locali, poteva adocchiare quasi tutto il green della buca nove. Era bello poter guardare quel pezzo di campo soleggiato di Lignano e prefigurarsi il godimento che a breve avrebbe provato camminandoci sopra. Avrebbe  tirato il carrello e la sacca, colpito la palla per scagliarla verso l’obiettivo e sarebbe stato talmente felice da non sentire alcuna fatica.
L’erba verde e lucida del campo rifletteva i raggi del sole sul vetro ma, strizzando gli occhi, non gli impediva di distinguere sul green le sagome di quattro giocatori.  Erano tre uomini e una donna. Uno degli uomini stava tenendo la bandiera mentre un altro, da lontano pattava. Anche gli altri due erano ben visibili: uno si stagliava sulla collinetta accanto al green e guardava la traiettoria della palla colpita, mentre la donna, distratta, era intenta a infilare un guanto in una delle borse laterali della sacca da golf.
Sorrise fra sé e sé, perché li aveva riconosciuti. Anche loro, erano appassionati del golf e, appena possibile, correvano al club per disputare una partita. Spesso giocavano insieme. Uno degli uomini e la donna facevano coppia fissa nella vita. L’uomo, che si chiamava Marco, aveva ancora il volto di un ragazzo, non doveva ancora avere raggiunto i quarant’anni, mentre la donna, Rita, ne aveva qualcuno di meno. Erano una di quelle rare coppie entusiaste in eguale misura del golf che non sembrava infastidirsi neppure a praticarlo insieme. Marco aveva modi cortesi e un sorriso rassicurante. La donna, minuta e gentile sembrava sempre annuire quando lui parlava. Mauro li aveva visti più di una volta insieme anche fuori dal campo di golf, a Lignano, lungo il corso, uscire da uno dei loro negozi, probabilmente dopo averne controllato l’andamento.
Il secondo uomo del gruppo era un ragazzo alto e biondo dai modi spigliati. Il suo nome era Roberto. Anche lui non aveva ancora raggiunto i quarant’anni. Aveva un lavoro stagionale a Bibione. Il ristorante era aperto solo durante la stagione estiva. A volte in inverno Roberto scappava via, e una delle fughe lo avevano portato dall’altra parte del mondo in una arroventata località dove aveva scovato una bellissima donna che era divenuta sua moglie.
Da anni circolava la voce che anche a Bibione sarebbe stato costruito un campo da golf. Due campi vicini avrebbero rappresentato una interessante offerta nel settore del turismo sportivo, confrontabile a quella di altri paesi. Ma in Italia i permessi da ottenere e le difficoltà da superare –soprattutto di ordine economico– erano tali che la realizzazione appariva un obiettivo quasi irraggiungibile. Nessuna zona d’Italia poteva neppure pensare di rivaleggiare con gli oltre quaranta campi offerti dal comprensorio turistico di Marbella dove in tutti i periodi dell’anno dagli aerei scendono centinaia di turisti con la sacca, il denaro e la smania di giocare.
Il terzo uomo del gruppo era ormai in pensione. Mauro riconobbe Giovanni chiamato anche Penna Bianca. Il sopranome sicuramente derivava dai capelli completamente bianchi, quasi lucidi, che portava abbastanza corti e che modellava rivolti verso il cielo. Anche le basette e la barba, a volte appariva definito un pizzetto, erano completamenti bianchi.  Indossava sempre gli occhiali, del tipo da sole in estate. Aveva quella forma particolare di due occhiali in uno, e gli era sufficiente alzare la lenti per il sole che  occultavano gli occhiali da vista. Nel volto, e in particolare intorno agli occhi, aveva delle profonde increspature affatto comuni tra chi trascorre molto tempo all’aria aperta. Al collo portava spesso come un fazzoletto variopinto o sciarpe molto colorate.
A Mauro sembrò che Giovanni lo avesse intravisto e gli avesse accennato un gesto di saluto.
Che sagoma! – esclamò tra sé.
Gli venne in mente che durante il buffet di premiazione di una gara nel corso dell’estate precedente la moglie di Mauro aveva fatto i complimenti a Giovanni per il modo in cui era vestito. Amava indossare abiti particolari abbinando colori e modelli eterogenei. Portava calzoni straordinariamente rossi, oppure di uno sgargiante colore arancione, o rosa, o a quadri scozzesi, e poi maglie  anch’esse variopinte, a volte dalla foggia inusuale, e nell’insieme, per la raffinatezza e il gusto che aveva nel comporre gli abbinamenti, si mostrava solare e divertente rivelando di essere un uomo dalla prorompente e gaia personalità.
Giovanni aveva ricambiato quei complimenti. Perché anche la moglie di Mauro dedicava molta cura nella scelta dei vestiti e degli accessori. E avevano scherzato su quella loro divertente ossessione. Se li intendevano e raccontavano. Così Giovanni sorridendole le aveva detto:
La prossima volta che vado in aereo a Parigi ti porto con me! Andiamo insieme. Ti porto a vedere delle belle boutique che conosco, è in rue de Rivoli dove si trova il meglio, vedrai che cose carine ci sono
Raccontava di aver ceduto l’attività ai figli. Era giunto il momento di godersi la vita e che, avendo adesso più tempo a disposizione, era arrivato il momento di divertirsi il più possibile. Poi aveva fatto scivolare nella conversazione le solite battute sul marito, l’avrebbe portata con se solo a patto che Mauro non fosse geloso …
Mauro non aveva potuto non sentire quelle frasi mentre si aggirava insieme agli amici tra le pietanze del buffet. Non avrebbe saputo dire se quell’invito alla moglie di andare a Parigi avrebbe fatto più male al suo cuore o al suo portafoglio, che veniva regolarmente saccheggiato dal desiderio di essere affascinante e al passo con la moda. Ma non poteva che sorridere. Era uno scherzo. Le battute di Giovanni erano sempre spiritose e delicate e nessun uomo di buon senso se la sarebbe mai potuta prendere.
Era a quell’episodio che Mauro stava pensando uscendo dallo spogliatoio, dirigendosi verso il bar. Voleva bere un caffè. Ma era anche certo, che lì avrebbe incontrato qualcuno con cui giocare.
Infatti appoggiato al bancone c’era Renzo, ancora succube di un orzaiolo all’occhio sinistro.
– Hai visto Giovanni? – chiese a Renzo.
Poi spiegò perché lo cercava:
– Sai, Vito si è qualificato per una finale di golf a Torino. E per la stessa finale di sono qualificati anche Giovanni, Roberto e Rita, la ragazza di Marco. Volevo presentare Vito a Giovanni, in modo che se sono d’accordo possano andare a Rorino insieme…
Mauro non disse a Renzo che li aveva visti attraverso le grandi finestre degli spogliatoi sul green della nove. Probabilmente tra qualche istante sarebbero passati per il bar, a mangiare e bere qualcosa, per una sosta tra le prime e le seconde nove buche del percorso. Allora lui stesso avrebbe detto a Giovanni che voleva presentargli.
– Ti divertiresti molto con loro – aveva anticipato a Vito – sono tutti  molto simpatici.
Vito era diventato da poco socio del circolo e quindi non conosceva ancora tutti. Ma il circolo di Lignano era un ambiente sereno nel quale c’era sempre molta disponibilità da parte dei vecchi soci nei confronti dei nuovi giocatori. Giovanni, poi, era, tra tutti, senz’altro uno dei quelli più affabili e cordiali.
Proprio Giovanni a proposito della trasferta di Torino aveva scherzato con Marco.
– Ce la lascerai la tua Rita –aveva detto– le permetterai di venire con noi… con questo gruppo di matti, non te la mangiamo mica!
Ma Marco si era rabbuiato, perché era geloso della sua Rita, e con il suo candore aveva risposto:
– Sì, sì, la lascio venire, ma… a Torino vengo anch’io a accompagnarla.
Mauro non aveva alcun dubbio: quel gruppetto si sarebbe divertito parecchio durante quella trasferta.
Ma inaspettatamente Mauro notò che Renzo lo osservava stupito.
 Oh – disse Renzo – non sai?
 Cosa? – chiese Mauro.
  Non sai cosa è successo… non sai di Giovanni? Non hai letto i giornali? 
– I giornali?
Così Renzo gli raccontò che Giovanni era stato vittima di un incidente. Era andato a cena verso l’interno e stava tornando a Lignano, di sera, quando aveva perso il controllo della sua BMW Z3 e era uscito di strada. Lo avevano trovato privo di vita riverso nell’auto. 
Mauro sulle prime avrebbe voluto dire che non era possibile, ma come?, se lo aveva visto poco prima, la fuori, sul green della nove. Ne era certo! Non poteva che essere lui! Chi se no! Chi altri lì al circolo aveva quei capelli bianchi, il pizzetto bianco, il foulard intorno al collo… Avrebbe voluto dire che non poteva essere vero… era uno scherzo… uno scherzo di quel mattacchione di Giovanni.
No, era vero. Massimo, il barista lo confermò, compunto.
Tramortito dalla notizia si sedette.
Aspettò. Senza sapere che cosa. Come se dovesse arrivare qualcuno.
Ma nessuno arrivò.
Non arrivò Giovanni, come non arrivarono neppure Roberto, o Rita o Marco.
Nessuno andò più a Torino per quella finale. Neppure Vito.
Seduto sul divano di pelle nera Mauro ricordò Giovanni. Era come se quello dal green della nove fosse stato il suo ultimo saluto.

- A Giovanni -

Giulio Lapasini


(Testo sottoposto alla normativa sul diritto di autore)

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